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Ecco, allora, riaffiorare dalle nebbie del passato (nella personale che sarà inaugurata il 4 maggio 2007, presso la “Casina Pompeiana” nella Villa comunale di Napoli), riemergere, dalle nere ceneri della distrutta Pompei, la sua Domitilla “rossa” di sanguigna, rossa come il magma che ribolle in attesa sotto il vulcano partenopeo, come il sangue effuso dal Santo martire della sua città, San Gennaro, che, due volte all’anno, non è più una statua ma un sangue che scorre; precedentemente, però, nuova vita aveva ridato, reinterpretandolo (in una mostra non a caso intitolata “Fuori dal mito”), a Pulcinella, il suo Pulcinella nero di carboncino, nero come la maschera che da secoli indossa, ammiccante e drammatico, che insieme ride e piange, beffato e beffatore, pronto nel lazzo, goffo in amore.
L’anima greca e l’anima latina, il dramma e la farsa, la riflessione e lo stupore, il pianto e il riso, il volto e la maschera, l’ombra e la luce, il candore e la passione, felicemente convivono nelle sue opere profondamente ispirate, in cui autentico pulsa l’antico cuore partenopeo.
Impossibile, dunque, non restare ammaliati dalla sua pittura, legata, pur nella modernità, alla più nobile tradizione artistica (non a caso sua grande passione è Caravaggio, stupendo coordinatore di luci ed ombre, che tanto di sé ha improntato l’arte e di cui ancora riverberano gli influssi), insieme mite e sanguigna, amara e giocosa, magica alchimia di rosso e nero, di passione e sentimento, che spontanea sgorga ed onora il nostro glorioso passato artistico, lontana dalle moderne stranezze, concettuose, pretestuose, fredde, spesso insignificanti, raggiungendo, in compiuta sintesi fra segno e colore, livelli di rara e suggestiva bellezza estetica.
Francesca Santucci